The Book Hunter

Cacciatrice e divoratrice di libri; scrittrice in erba con troppe idee in testa. 

 

Mi aspettavo peggio, molto peggio

Cercando Alaska: Immaginare il futuro sa di rimpianto (Oltre) (Italian Edition) - John Green

Ë passato un bel po’ di tempo da quando ho letto questo libro, eppure ancora non sono riuscita a farmene un’opinione completa.
Ero partita abbastanza prevenuta con questo romanzo, avendo letto prima Colpa delle stelle (che è dello stesso autore) temevo di rimanere delusa anche da Cercando Alaska. Sono stata contenta di aver dovuto cambiare opinione.
Basilarmente la trama non è particolarmente originale, eppure John Green non l’ha resa banale e gli avvenimenti non sono assolutamente scontati: il romanzo è imprevedibile e anche quando sembra che i protagonisti stiano per affrontare un periodo di “quiete”, c’è sempre qualche allegra vicenda che non annoia mai il lettore e che permette a quest’ultimo di godere fino alla fine del romanzo. Fra le angherie dei “nemici” scolastici, Miles (il personaggio principale), Alaska, Colonnello, Takumi e Lara vivono un emozionante anno scolastico ricco di scherzi e avventure notturne.
Miles si ritrova circondato da persone che portano sulle spalle il peso di una vita particolarmente difficile, quasi un dramma, di cui alcuni sono riusciti a liberarsi, mentre in altri è ancora vivo il ricordo. C’è il Colonnello, talmente povero da vivere in una roulotte, c’è Lara, arrivata in America da pochi anni e Alaska, che più di tutti è tormentata dal suo passato. Questi racconti ci vengono quasi presentati come delle fiabe cupe e macabre, che hanno contribuito alla formazione psicologica dei personaggi e che li hanno resi persone non superficiali e dalla mentalità vispa e aperta.
Arriva “finalmente” anche il momento di Miles e Takumi di crescere.
DA QUI LA RECENSIONE SARA’ CARATTERIZZATA DA SPOILER, NON PROSEGUIRE SE NON AVETE LETTO IL ROMANZO.
Improvvisamente Alaska muore e si cerca di ricostruire quel pezzo della sua vita che l’ha portata a commettere un presunto suicidio. Ho apprezzato di questa parte del romanzo il tema trattato da John Green, sviluppato in due maniere differenti.
Alaska è perseguitata dai sensi di colpa per non essere riuscita a salvare sua madre quando era piccola. La ragazza non è riuscita a trovare una via d’uscita, è rimasta intrappolata nel suo labirinto e ha preferito la morte al ricercare ancora una via d’espiazione.
E come Alaska, Chip, Miles e in seguito anche Takumi, sono tormentati dagli stessi sensi di colpa per non aver impedito la morte della loro amica, anzi, l’hanno invogliata a uscire ubriaca in auto. Al contrario di Alaska, però, i tre riescono ad uscire dal labirinto, superano questi sensi di colpa e assorbono la lezione che la vita ha voluto impartirli, e che ha cercato di far imparare anche ad Alaska. Come dice anche Margaret Mazzantini nel suo romanzo, “nessuno si salva da solo”, e questi tre amici riescono a superare questo dramma perlopiù adolescenziale assieme, facendosi forza l’uno con l’altro.
FINE SPOILER

 

La struttura del romanzo ci prepara già all’evento che metterà completamente in subbuglio la vita dei protagonisti, i paragrafi, infatti, sono divisi attraverso il sistema del “cinquanta giorni prima”, “ottanta giorni prima” e così via.
Nonostante tutti questi elementi positivi che mi hanno fatto commuovere e portato più volte a riflessione, al romanzo è mancato qualcosa. C’è stato un particolare che non mi ha permesso di godermelo pienamente e che mi ha impedito di dare cinque stelline di valutazione. Forse il mio essere prevenuta, forse proprio il personaggio di Alaska, che in certi momenti ho trovato un po’ pesante e anche un po’ troppo... esplicita, per così dire, e di cui non ho sempre apprezzato i comportamenti (come quando dice: “ti farei un pompino se non fossi fidanzata”... io sono per la fedeltà nel pensiero e nelle azioni...).
In ogni caso un romanzo che consiglio.

Effettivamente brutto, ma non riesco a dargli meno di tre stelline

Bianca come il latte, rossa come il sangue - Alessandro D'Avenia

Ho letto questo libro un bel po’ di anni fa, quando ero ancora una bambina, si può dire. Ero veramente, ma veramente piccola e immatura, e ricordo che il libro, nonostante non mi avesse poi appassionato così tanto, mi fece piangere parecchio.
Mi rendo che, se lo rileggessi adesso, non mi piacerebbe come qualche tempo fa, e mi accorgerei di ciò che effettivamente ho letto.
Diciamo che Alessandro D’Avenia ha raccontato il cancro con gli occhi di un adolescente svogliato che vede le sue speranze amorose svanire. La trama è fin troppo tipica: un ragazzo innamorato di una ragazzina con la leucemia, lei muore e lui la rimpiazza con la migliore amica (cosa di cattivo gusto, dato che sinceramente si è perso in pochissimo tempo “l’amore” che questo ragazzo provava per Beatrice).
A mio parere, anche un po’ la leucemia è stata trasformata in qualcosa di fin troppo devastante. Ho avuto un amico stretto con la leucemia, e con tutto che si erano rotti i macchinari, che non riuscivano a trovare un midollo compatibile, dopo un anno sono riusciti a guarirlo comunque. Il periodo in cui questo mio amico è stato malato coincide con la lettura di questo romanzo, quindi credo che è stato per il fatto di essere riuscita ad entrare in Leo che mi piacque così tanto. Di conseguenza, non riesco a dargli meno di tre stelline, nonostante ammetto che anche la scrittura sia abbastanza scadente.

Deludente

Colpa delle stelle - John Green

Si era alzato un tale polverone attorno a questo libro, che avevo paura di cominciare a leggerlo per paura di rimanerne troppo rapita o devastata. Come si noterò dalla valutazione non del tutto piena, questo libro mi ha lasciato una punta di delusione e non ha confermato tutte le recensioni positive che ho letto sul suo conto.
Diciamo subito che questa recensione sarà abbastanza complessa da seguire, perché le cose che ho da dire sono parecchie e il discorso è anche abbastanza difficile, quindi spero che voi mi seguiate e che riusciate a comprendere ciò che voglio dirvi.
Mi ha un infastidito, per prima cosa, la traduzione errata dall’inglese all’italiano, anche se, ovviamente non si può dare la colpa a John Green. Un significato così profondo storpiato da un cambio di preposizione!
Ma andando al contenuto del libro...

 

I personaggi

 

Hazel e Augustus sono la prima cosa che mi ha fatto storcere il naso. Entrambi stanno vivendo difficili situazioni con le loro malattie, chi di più, chi di meno e non nego il fatto che siano veramente interessanti. Fondamentalmente, però, hanno due problemi: il primo, il fatto che siano uguali . Hazel è un Augustus al maschile e Augustus è una Hazel al femminile. Quando parlano, non c’è uno scambio di opinioni o un dibattito costruttivo, rafforzano l’uno ciò che dice l’altra, rendendo i loro discorsi anche abbastanza noiosi. Di conseguenza, utilizzando la prima persona, riusciamo a capire anche com’è fatto Augustus senza ricorrere ad approfondimenti, dato che pensa esattamente come pensa Hazel.
Il secondo problema è la loro maturità. Capisco che hanno vissuto e stanno vivendo un periodo complicato della loro vita e un problema comunque grave, ma hanno una maturità che un ragazzo di sedici o diciassette anni non ha e non avrà mai nella vita reale . Sono come Silente e la McGranitt: due vecchietti di novant’anni che hanno trascorso la vita a combattere guerre. Anche se sei stato malato di cancro, ovviamente sei un po’ più maturo degli altri, ma non saggio come Gandalf o come un nonno!

 

Le metafore

 

Questo libro è disseminato di metafore nascoste, che il 70% dei fan non avrà manco capito. Dalle uova strapazzate, al bacio nella casa di Anna Frank. Ma la più importante, la ricerca di Peter van Houten per scoprire come continua il libro “Un’imperiale afflizione”, invenzione geniale di John Green e libro preferito di Hazel. È un’evidente non rassegnazione alla morte da parte di questi due ragazzi che sanno perfettamente di esservi prossimi, e che vogliono sapere cosa succederà una volta che avranno lasciato questo mondo.
Diciamo che io sono sempre per il premiare l’impegno, e in questo John Green penso che si sia veramente dato da fare, ma forse ha dimenticato che il libro è diretto a dei ragazzi, di cui al 90% importa solamente di vedere gli sviluppi di una storia d’amore. Ovviamente credo che il suo scopo è quello di far lavorare anche un po’ il cervello, infatti in molti punti porta anche a riflessione e offre spiegazioni filosofiche su vari meccanismi della vita.


Amore vs Cancro

 

Una delle cose che mi ha più irritato di questo libro, è il fatto che l’autore abbia messo davanti ad un tema importante come il cancro, l’amore.
Forse perché io sono fermamente convinta che l’amore non sia la forza devastante e potente che ci viene descritta nei libri, ma credo che prima di questo ci sia qualcosa di più importante, ma John Green, per permettere una storia d’amore tra questi due ragazzi, ha creato una pillola che aiuta Hazel a sopravvivere nonostante il cancro. Una trovata che non mi è piaciuta, perché appunto ha spostato una malattia che distrugge in secondo piano per favorire una storia d’amore! Non so, per me ha un po’ mancato di rispetto alle persone malate.
Questa è una cosa che veramente non ho capito di questo libro. Perché abbassare la gravità del cancro, sapendo che questo libro è destinato a persone sane? Forse perché a queste persone sane importa solamente di leggere una storia d’amore romanzata e impossibile nella realtà?
Io penso che alcune situazioni non possano essere modificate nei libri, e quando leggo di cancro vorrei leggere qualcosa di crudo e significativo che mi porti a riflettere sulla condizione di queste persone, non sull’amore apparentemente impossibile.

Il finale

Il finale l’ho trovato totalmente senza senso, e di conseguenza, non mi ha minimamente sfiorato. Infatti, come molti mi dicevano, non ho pianto e non ho fatto nient’altro, anzi, non ho terminato nemmeno il libro, fermandomi al capitolo 23, mi sembra. Molti mi hanno apostrofato dicendo che sarei dovuta andare avanti a leggere, perché lì avrei capito che la morte di Augustus è servita a far maturare Hazel e così via, ma è una cosa abbastanza ridicola, per Hazel è già matura! Non puoi creare prima una piccola McGranitt, e poi pretendere che maturi ancora! Ripeto: Hazel ha già raggiunto un livello di maturità massimo sia per la sua età che per l’uomo in generale, infatti dicevo anche prima che lei e Augustus sono saggi , e non maturi. La morte di quel povero ragazzo è servita solamente a distruggere Hazel ancora di più.

 

Scene di cattivo gusto e realismo

 

Diciamo che per la prima metà, il libro mi ha abbastanza annoiata. È riuscito ad appassionarmi soltanto durante il viaggio ad Amsterdam, in cui i due ragazzi sono alla ricerca del continuo del libro. Davvero di cattivo gusto, il bacio nella casa di Anna Frank con tanto di applauso da altri turisti, che ho trovato irrispettoso (per quanto John Green volesse farci capire che la vita va vissuta nonostante il dolore). Inoltre è stato molto frettolosa anche l’organizzazione del viaggio stesso, calcolando che loro partono da Indianapolis, e pensare che ad un certo punto ho creduto che vivessero in Inghilterra anziché in America! Anche la ricaduta di August è stata un po’ troppo campata per aria, a parte il litigio pre-viaggio con la madre, non vi è più alcun segnale, e non è che una ricaduta viene lasciata così. Se c’è speranza che mio figlio possa guarire, come madre non gli permetterei mai di andare oltreoceano, a meno che non si sappia già che morirà, e allora la vacanzetta te la permetto.
Diciamo anche che in questo romanzo ci sono parecchi personaggi, ma tutto gira attorno ai due protagonisti. Sarebbe stato interessante, magari con una terza persona, approfondirli e non buttarli e lasciarli lì senza permetterli più di avere voce in capitolo. Per esempio, i genitori di Hazel. Il cancro è devastante per tutti, non solo per chi lo ha. Cosa ne pensano di tutto questo?

 

Pro di questo romanzo

 

Esattamente, perché effettivamente ha anche delle cose positive. Innanzitutto alcuni personaggi, come lo scrittore Peter van Houten, la sua assistente dal nome incomprensibile e le riflessioni intelligenti di Hazel. In generale consiglieri questo romanzo ad un ragazzo, perché, per quanto non mi possa essere piaciuto, non può che far bene rimanere a rifletterci un po’ su.

Completamente diverso da Harry Potter, ma ugualmente meraviglioso

Il seggio vacante - Silvia Piraccini, J.K. Rowling

Il fatto che fosse stato scritto dalla Rowling mi ha indotto, come penso per il 60% delle persone che hanno deciso di comprarlo, a leggere questo libro. Avevo letto recensioni discordanti, molti ancora legati ad Harry Potter, altri che lo hanno trovato fantastico e sono riusciti a superare lo stereotipo del “l’autrice di Harry Potter non può cambiare genere”.
Personalmente, penso che mi è piaciuto ancora più di Harry Potter. È impossibile, comunque, fare dei paragoni fra i due libri, perché appartengono a contesti completamente differenti.
Il seggio vacante è una tragicommedia, un romanzo di denuncia della società attuale e un libro adatto ad un pubblico adulto. La lettura si presenta lenta, inizialmente, noiosa e scocciante. Il romanzo si avvia arrivati a metà e giunta a quel punto non sono più riuscita più a staccarmi dal libro.
I personaggi sono tanti, a volte si fatica a seguirlo sia appunto per la profonda indagine psicologica che viene fatta di ognuno di loro, sia perché a volte si parla di temi “adulti”, come la politica e l’economia (nel quale sono totalmente ignorante, ma sono riuscita comunque a capire qualcosa). La Rowling ci presenta varie situazioni differenti, ma tutte che fanno riflettere, assolutamente reali, pensieri e atteggiamenti possibili. Si parte dalla moglie che sogna una notte di fuoco con il cantante della band preferita da sua figlia e si arriva al ragazzo brufoloso che affronta le prime cotte adolescenziali.
Tematiche forti come la droga, gli abusi in famiglia e l’autolesionismo vengono trattate con peso e riguardo, senza però renderle protagoniste della storia.
Quando ho terminato libro ho percepito un senso di consapevolezza, in un certo senso mi si sono aperti gli occhi che prima avevo chiusi a metà.

 

Avrei voluto dare di più

La cacciatrice di fate - Elizabeth May

Ero parecchio indecisa riguardo il rating di questo romanzo. Il mio giudizio oscillava dal 2.5 al 3.5 e, tagliando la testa al toro, ho optato per un 3.
La prima parte del romanzo non è stata particolarmente emozionante?, tanto che avevo già deciso che il libro valeva due stelline e mezzo. È stata la seconda parte (non ricordo nemmeno quale punto in particolare) che mi ha mandata in completo delirio. Da quel momento ho cominciato a leggere bramando di terminarlo e sono rimasta sveglia fino alle due pur di finirlo.
In ogni caso, parlerò prima delle cose che mi sono piaciute e poi di quelle che non mi sono piaciute.

 

Cosa mi è piaciuto

 

 

- Lo scenario. La Scozia ottocentesca penso sia già di per sé un luogo meraviglioso e quasi surreale, tra balli, alta società e l’aggiunta di elementi un po’ steampunk che hanno reso veramente interessante e magica Edimburgo. L’autrice ha quasi creato una specie di epoca quasi idilliaca, contenete sia l’eleganza dell’Ottocento, sia la tecnologia che si avvicina (o supera, a volte) quella moderna, un ambiente nel quale tutti vorrebbero vivere.

- La protagonista. Finalmente una protagonista che non si lagna, ma che affronta la vita a testa alta, forte, caparbia, ma comunque umana e piena di debolezze. Dopo la morte di sua madre, Aileana è divenuta un vero e proprio osso duro e la sua vita si divide tra alta società e caccia. La May non l’ha resa, però, invincibile: come ha già detto prima, anche Aileana ha i suoi punti deboli, che cerca nonostante tutto di superare e di trasformare in punti di forza.

- Kiaran. Io ho amato questo personaggio. E lo amo tutt’ora. Inizialmente pensavo fosse il solito bastardo di turno, un po’ alla Jace di Shadowhunters, privo di spessore e senza un vero e proprio carattere. Ho dovuto ricredermi. Kiaran e Aileana sono molto simili: forti e imbattibili all’esterno, ma tormentati e deboli all’interno. Se le sue mezze verità inizialmente mi infastidivano, ho cominciato a trovare questo suo modo di rispondere quasi affascinante, una specie di allarme per segnalare in modo lieve le sue debolezze.

- Derrick. Una pixie che cuce vestiti in cambio di miele, non è la quintessenza della dolcezza? L’iperprotettività nonostante la taglia, il coraggio e la fedeltà hanno reso Derrick uno dei miei personaggi preferiti.

- L’elemento fantasy. Mi è piaciuta molto la rivisitazione della fata, resa una creatura crudele e temibile in questo romanzo. Il bestiario alla fine del romanzo è stato interessante e anche pratico, non sempre riuscivo a ricordare le caratteristiche delle fate, e a volte mi mandavano anche in confusione. Diciamo anche che, da ex fan delle Winx, ho avuto anche una specie di piccolo trauma con questi nuovi esseri demoniaci.

- La storia d’amore. Nonostante ci sia ed influisce abbastanza nel romanzo, rimane comunque da contorno e non diventa la protagonista. L’ho trovata anche abbastanza imprevedibile: se inizialmente non nutrivo speranze in un innamoramento fra Kiaran ed Aileana (che vedevo decisamente già sposata con Gavin ancora prima della richiesta di matrimonio), ad un certo punto ho cominciato a fremere attendendo il loro primo bacio.

 

 

Cosa non mi è piaciuto

 

 

- Lo stile. Ho trovato lo stile di scrittura della May abbastanza pessimo, anzi, veramente pessimo. Ho letto il libro in inglese e il testo si alternava tra periodi con una sintassi realmente troppo semplice e ripetizioni a non finire. Diciamo che in questo romanzo l’ambientazione storica non è l’elemento principale, ma lo stile potrebbe comunque contribuire a richiamare quel periodo e a creare un’atmosfera più concreta. Il modo in cui la May lo ha scritto, invece, mi ha riportato troppo ai nostri giorni e non mi ha fatto penetrare appieno nell’epoca storica.

- L’alta società. Elizabeth May’s debut is a wicked cocktail of Jane Austen’s high society and the Grimm’s fairy tales. Questo è ciò che è scritto sul retro del romanzo, in copertina. Diciamo che di alta società di Jane Austen vi ho trovato ben poco, perché la mentalità e il linguaggio dei personaggi non li ho trovati ottocenteschi, bensì moderni. Il loro modo di rivolgersi ad altre persone, il loro approccio... la May non è riusciuta ad immedesimarsi completamente nella mentalità del tempo, e il risultato è una presunta società ottocentesca che in realtà di ottocentesco non ha nulla.

- Lo steampunk. Ho detto prima, nel primo paragrafo delle cose che mi sono piaciute, che lo steampunk è stato uno di questi. Purtroppo a volte ho notato che la tecnologia si avvicinava troppo a quella moderna e quasi l’autrice si dimenticasse di star scrivendo un romanzo ambientato nel passato. Anche alcune espressioni fin troppo contemporanee mi hanno riportato al mondo di oggi, facendomi allontanare dall’epoca del libro.

- Il finale. Avrà lasciata tutti di stucco, ma io sinceramente non lo considero un finale. È tronco, come la puntata di un cartone animato, dove esce scritto To be continued.

Gli elementi che ho apprezzato sono senz’altro di più rispetto a quelli che mi hanno fatto storcere il naso, ma le cose che non mi sono piaciute sono state comunque incisive e hanno influenzato il mio giudizio molto di più rispetto agli elementi positivi.
E per rimanere in tema, lascerò tronca la recensione, così da imitare lo stile del romanzo.